Intervista al giornalista Aaron Pettinari: “La mafia si combatte con la cultura”.

by Marche Today
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SAN BENEDETTO DEL TRONTO (AP) – 25 voci per 25 anni. È il tempo che è passato da quel fatidico 1992 in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, entrambi in attentati di mafia. Aaron Pettinari, giovane giornalista di cronaca giudiziaria ed inviato a Palermo del giornale Antimafia 2000 (con sede a S. Elpidio a Mare e nel capoluogo siciliano), ha pubblicato il 25 maggio 2017, per ricordare il mese della morte di Falcone (strage di Capaci, 23 maggio), il suo libro edito da Imprimatur Editore “Quel Terribile ’92: A 25 anni di distanza 25 voci per non dimenticare” con prefazione di Salvatore Borsellino. “Ho intervistato 25 persone diverse sul tipo di impatto che la notizia delle morti di Falcone e Borsellino hanno avuto su di loro quell’anno”, ha spiegato Pettinari ieri alla presentazione del libro alla Palazzina Azzurra di San Benedetto, intervistato da Raffaele Vitali direttore de La Provincia di Fermo. Le testimonianze raccolte sono di persone note e poco note: Manuel Agnelli, Maurizio Bologna, Ninni Bruschetta, Loredana Cannata, Fabio Caressa, Giancarla Codrignani, Lella Costa, Giobbe Covatta, Jacopo Fo, Annalisa Insardà, Canio Loguercio, Fiorella Mannoia, Neri Marcorè, Bruno Morchio, Alberta Nunziante, Michela Ponzani, Carmela Ricci, David Riondino, Andrea Satta, Vauro Senesi, Daniele Silvestri, Sergio Staino, Flavio Tranquillo, Dario Vergassola, Stefano Vigilante. Ciascuno ha avuto una reazione differente ai fatti terrificanti di quell’anno, denso di avvenimenti internazionali: la guerra in Bosnia, fine ufficiale della guerra fredda tra Stati Uniti e Russia, la creazione dell’Unione Europea.

Come ti è nato l’interesse per i fatti di mafia?

A 17 anni già facevo il giornalista per Il Resto del Carlino e mi sono inserito subito in un lavoro che mi piaceva.  A 18 anni ho avuto la fortuna di andare in un convegno a Palermo con Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo, rispettivamente direttore e vice direttore di Antimafia 2000, e ho visto le immagini dei vigili del fuoco sulle stragi, che mi hanno abbastanza sconvolto. Da qui mi è nata la voglia di approfondire determinate tematiche, essendo pure appassionato di storia, e dal 2006 ho cominciato a lavorare con Antimafia 2000. Da settembre 2014 sono inviato fisso a Palermo. Per quanto riguarda i drammatici avvenimenti del 1992, ho dei ricordi vaghi sulle persone di Falcone e Borsellino dato che ero piccolo. Mi sono rimaste più in mente i fatti del 1993 e mio padre che nel 1994 mi porta a vedere al cinema il film su Falcone con Michele Placido (Giovanni Falcone, 1993).

In quanto tempo hai concepito il libro?

Il libro è nato nel giro di un mese (fine marzo) e mi è stato proposto dal mio curatore Pietro Orsatti dell’Imprimatur. L’idea era di concentrarsi sui non addetti ai lavori, persone dello spettacolo più o meno famose, che hanno vissuto il ’92 da cittadini, sottolineando il loro punto di vista sulle stragi e Tangentopoli. Un’operazione letteraria non esplorata nel panorama nazionale, nel quale è stato sempre dato spazio ai magistrati e non al cittadino. Abbiamo consegnato a maggio, in tempo per venticinquesimo anniversario della strage di Capaci.

Quali tra le 25 voci del libro ti ha colpito di più ascoltare?

È molto interessante che tutti e venticinque ricordino uno spaccato differente. Lella Costa ha un avvenimento importante, la nascita della figlia. A livello di impatto emotivo, sicuramente ci sono delle storie nel libro che rimangono impresse. Daniele Silvestri, non ancora famoso, va a suonare col suo gruppo spalla a Reggio Calabria e si ferma in un autogrill. Ad un certo punto arriva la notizia della morte di Falcone e davanti a lui osserva quattro persone che alzano i calici e brindano. Questa è una scena impressionante. Il giornalista sportivo di Sky Flavio Tranquillo ammette facendo mea culpa di non aver provato nulla e aver sottovalutato la vicenda. Non sapeva chi fossero Falcone e Borsellino ed ha proseguito a parlare di basket con i suoi colleghi. In seguito ha potuto riscattare la sua indifferenza con l’impegno civile. L’attore siciliano Maurizio Bologna, all’epoca paramedico, è stato un testimone oculare dell’accaduto in via D’Amelio. Stava passeggiando con il suo amico vice questore quando a quest’ultimo è arrivata la telefonata dell’attentato e si sono fiondati insieme sul luogo dell’attentato. Racconta di aver visto palazzi sventrati e pezzi di carne sparsi in giro. Oltre alla drammaticità, ci sono anche i contributi divertenti con un velo di amarezza di Dario Vergassola e Stefano Vigilante. In generale ogni intervistato lega qualcosa di significativo a quell’anno.

Sei inviato a Palermo. È difficile reperire notizie vere ma non ufficiali sulla mafia?

Seguendo la cronaca giudiziaria raccolgo notizie ufficiali. Però tra i commenti dei magistrati, delle Forze dell’Ordine e della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) si riesce ad avere un quadro specifico della città e dei movimenti che le ruotano attorno. Ciò che emerge è che la mafia si è trasformata in qualcos’altro di più nascosto che fa affari con gli apparati politici e finanziari. Si è evoluta su due piani: manovalanza (estorsioni, traffici) e mercatismo (affari in borsa). La prima viene quasi tutta colpita con arresti su arresti. La seconda è più sfuggente e difficile da colpire. Inchieste recenti hanno mostrato legami di una certa criminalità organizzata con la “massoneria deviata” al cui interno vi sono professionisti, imprenditori, avvocati, politici. È presente ovunque, si è trasferita da un pezzo in altre regioni. Gli addetti ai lavori ci dicono, inoltre, che mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia.

Tu vedendola dall’interno ti consideri ottimista o pessimista nella risoluzione del problema?

Io ho molta fiducia nel popolo. La mafia è un fenomeno che si può sconfiggere soltanto culturalmente, un concetto in cui credevano in modo forte sia Falcone che Borsellino. Borsellino era consapevole ci fosse del tritolo a Palermo e se nell’ultima lettera di risposta ad una preside inviata ad una classe si definiva ottimista, non vedo perchè non dovrei esserlo io. Certo è che dal punto di vista dell’informazione e del contrasto reale è molto difficile essere totalmente ottimisti. In venticinque anni sono stati comunque fatti dei passi avanti, non si è rimasti fermi a guardare. Bisogna però stare estremamente attenti a non raccontare barzellette ai ragazzi dicendogli che è tutto risolto. Ci sono inchieste in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna ed infiltrazioni anche nelle Marche.

Sei stato oggetto di minacce da parte della mafia?

Non mi è mai capitato e mi auguro non succeda. Colgo l’occasione però per spendere una parola per quei miei colleghi che sono stati minacciati o sono stati ammazzati dalla mafia. Molti rischiano per il lavoro che fanno e ci sono continue querele temerarie, una situazione davvero allarmante. Le querele temerarie sono i ricorsi alla giustizia da parte di chi si sente diffamato o leso nella propria immagine contro giornalisti che fanno il proprio mestiere. È una sorta di intimidazione legale concessa dallo Stato.

di Donatella Rosetti

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