Cremini's New York

New York scopre l’Oliva ascolana: la storia di successo del Bistro Cremini’s

by Marche Today
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Riccardo ed Elena hanno avuto il coraggio di scommettere sulla cucina marchigiana portandola in una delle città più competitive al mondo: New York City.

Le olive ascolane sbarcano a New York, con successo! Il merito va a una giovane coppia di italiani: Riccardo Massetti, marchigiano nato a Porto San Giorgio, laureato ad Urbino ma vissuto per venti anni a Milano come manager nel settore Marketing e Comunicazioni ed Elena Salati, piemontese, architetto, appassionata di arredamento di interni e di food. Nel 2019 decidono di aprire il loro Bistro Cremini’s a Brooklyn proponendo i piatti tipici della cucina marchigiana.

Grazie alla splendida rubrica “OltreMarche – racconti di cibo ed emigrazione” ideata e curata da Luigi Petruzzellis, responsabile del Museo dell’Emigrazione Marchigiana di Recanati, abbiamo deciso di farci raccontare dai diretti interessati questa storia imprenditoriale di successo.

Come è nata l’idea di far conoscere l’oliva ascolana e la cucina marchigiana negli States?
“Ci siamo conosciuti anni fa in Sardegna, ma solamente nel 2018 mentre eravamo in California ci è venuta quella pazza idea di cambiare vita. Tornati dalle vacanze ho dato l’acqua a quello che era solo un seme, nel senso che ho cercato di capire l’impatto economico, di format, di fattibilità di un piccolo Bistro di qualità”.

Perché avete deciso di puntare sul cibo, in particolare sulla cucina marchigiana?
“Il cibo negli ultimi anni ha preso un valore aggiuntivo nelle nostre vite, una sorta di divulgazione che ha avuto il suo apice con l’Expo di Milano, incentrato appunto su queste tematiche. Ma soprattutto nell’ultimo periodo si era concentrata un’attenzione profonda sul cibo regionale e sulla riscoperta di alcuni sapori autentici. Su quello ci siamo indirizzati. Ovviamente nella mia ricerca il cibo marchigiano veniva semplicemente escluso perché non famoso o perché non incluso nei flussi migratori italiani che hanno reso celebri alcune ricette dal sud prevalentemente. In più vivendo da venti anni a Milano facevo fatica, comunque, a trovare il cibo marchigiano autentico, soprattutto le Olive Ascolane. Questi fattori ci hanno fatto focalizzare su un format che offrisse street food come Olive e Cremini. Ma da soli non bastavano a sorreggere un menu credibile né un business plan”.

Cosa vi ha spinto a scegliere New York come luogo dove sviluppare il vostro business?
“L’idea come dicevo è nata in California che è uno Stato molto variegato ed enorme, diverse impostazioni culturali nelle maggiori città e problemi logistici. New York è stata la prima scelta dove strutturare uno studio di fattibilità serio. Ha tutto quello che serve per un business del genere, ma allo stesso tempo una vastità pazzesca e una competitività più alta al mondo. Conoscevamo un po’ la città per lavoro ma quando abbiamo affrontato sulla carta alcuni aspetti come la ricerca demografica, abbiamo capito meglio cosa volevamo essere”.

Come avete capito che c’era del potenziale per quella tipologia di prodotto? Siete partiti da uno studio di fattibilità o vi siete buttati con entusiasmo in questa sfida?
“Lo capisci quando giri un po’ per la città. Il cibo a New York spesso è consumato velocemente, la qualità è mediocre e a volte si vive di “ricordi” come li definisco io, almeno per la cucina italiana. I nomi dei piatti ricordano come dovrebbe essere il piatto in questione ma poi il sapore è un altro. E allora cosa potrebbe piacere? L’autenticità, la qualità e la relazione con le persone. Come accennavo sopra, abbiamo studiato prima sulla carta ma quando siamo venuti qui per il primo sopralluogo, abbiamo avuto un impatto durissimo e abbiamo capito che dovevamo rimboccarci le maniche e fare un super lavoro costruendo tutto da zero”.

Quali sono i piatti principali del vostro menù?
“Olive Ascolane in sei varianti e con degli special ogni tanto, cremini in sei varianti e con qualche limited edition, la crescia sfogliata di Urbino con un’ottima selezione di formaggi e affettati, le tagliatelle fritte di Monterubbiano, e alcuni piatti di pasta. Abbiamo anche un burger che abbiamo inventato con 3 tipi di carne (il ripieno delle olive ascolane) con le olive ascolane tritate dentro”.

Quali sono i preferiti dei Newyorkesi?
“Olive sicuramente, le tagliatelle fritte e il burger. Ma anche le nostre paste stanno andando molto”.

Quale è stata la prima reazione dei vostri clienti quando hanno assaggiato le specialità marchigiane?
“All’inizio era una sfida estenuante, spiegare dove sono le Marche, cosa stavano per mangiare, chi eravamo noi due pazzi. Insomma passavano quasi 5/8 minuti prima che il cibo arrivasse in bocca, troppo, troppo tempo. Ma il nostro format di Bistro di quartiere ci ha permesso di spiegare il tutto in più “puntate” perché le persone tornavano per scoprire il resto del menu che nel frattempo abbiamo implementato. Abbiamo fatto un grande lavoro di comunicazione nell’ultimo anno e mezzo e devo dire che ora le Marche, le nostre specialità e la nostra filosofia di ristorante sono entrati meglio nella categoria “comfort food” che a New York è fondamentale”. E comunque la reazione più comune quando per la prima volta si assaggia un’Oliva Ascolana la reazione è “amazing!” o “oh my God!””.

Avete più clienti italiani o turisti o locali?
“Locali, il nostro è un bistro di quartiere e quindi locali. Molti amici italiani e soprattutto marchigiani che ho scoperto piacevolmente essere molto numerosi!. Ironia, non abbiamo avuto modo di avere turisti, o meglio pochi. Abbiamo aperto a fine luglio 2019 e dopo sette mesi c’è stata la chiusura per il Covid”.

Il vostro rapporto con gli italiani e i marchigiani a New York? Avete scoperto altre realtà imprenditoriali interessanti create da marchigiani?
“Ti dico, ho vissuto 20 anni a Milano e ho lavorato con molte persone, avrò conosciuto 3 o 4 marchigiani… qui in un anno e mezzo tantissimi! Soprattutto abbiamo un ottimo rapporto con i Marchigiani in America, l’associazione no profit guidata da Riccardo Lattanzi che è un hub di contatti. Qui il respiro imprenditoriale, culturale, artistico e manageriale dal lato dei nostri conterranei è espresso alla grande”.

Quale è il vostro rapporto con i fornitori italiani? Avete fatto una selezione di prodotti italiani che vendete nel vostro bistrot?
“Con i fornitori italiani abbiamo un ottimo rapporto, abbiamo selezionato personalmente i prodotti sia lato food sia lato alcolici e devo dire che siamo molto soddisfatti della qualità che abbiamo. Anche i nostri clienti lo sono e questa è la cosa più importante”.

Potete raccontarci un aneddoto curioso o stravagante che vi è capitato durante questa esperienza?
“Siamo stati scelti per la location di un film. Una piccola produzione ma sono stati tre giorni fantastici, il locale completamente ribaltato con gli attori e la troupe avanti e indietro, con le luci da sistemare, le persone fuori attirate dalla situazione. È stato bellissimo e anche inaspettato. Una sera d’inverno, molto calma, entrarono queste due ragazze e ci fecero la proposta. Lì per lì pensai non fosse vero ma poi mi mandarono il copione e realizzai che era tutto reale. Questo chiaramente appena prima della chiusura per il Covid”.

Come avete affrontato la pandemia? New York è stata una delle città più colpite.
“È stato devastante, vedevamo molti ristoranti chiudere. Avevamo ricevuto la licenza alcolici (che qui è molto difficile) da soli 2 mesi, avevamo iniziato ad organizzare eventi, l’ultimo giorno prima della chiusura avevamo avuto un compleanno da 25 persone. Il lunedì del lockdown ci siamo messi a tavola e abbiamo steso una roadmap suddivisa sul breve, medio e lungo periodo. Anche se fare previsioni era un’impresa impossibile. Di solito in un business plan inserisci una crisi economica come punto di debolezza, ma quella in cui stavamo entrando era di più, sconosciuta, profonda, terribile”.

Come avete reagito?
“Innanzitutto siamo rimasti aperti, abbiamo implementato il delivery che per noi era intorno al 15%. Portarlo al 100% non è stato facile ma si è creata una situazione marketing idilliaca dove tanti chiudevano e lasciano il mercato ai pochi aperti come noi che abbiamo goduto di una sovraesposizione. In tanti hanno avuto la possibilità di assaggiare il nostro cibo, noi che eravamo e siamo abbastanza nuovi. Abbiamo quini testato nuovi prodotti come gli gnocchi nei box per l’asporto e implementando il menu di nuove specialità, abbiamo imposto ai driver il pickup del cibo sulla porta d’entrata minimizzando i contatti, abbiamo allungato gli orari di apertura intercettando il pranzo dato che molti lavoravano da casa e il nostro è un quartiere residenziale. Ci siamo anche inventati i cocktail to go, da asporto in pratici sacchetti sigillati. Abbiamo anche lavorato con la stampa in un momento privo di contenuti noi abbiamo cercato di essere più visibili con articoli e produzione di news. Quello che non abbiamo fatto è fare una politica di abbassamento prezzi, ma abbiamo aumentato la qualità e un po’ la quantità delle porzioni. Questo ci ha permesso anche di aprirci ad un nuovo target di persone attente alla qualità/prezzo”.

E alla seconda ondata?
“Il secondo periodo, quello estivo, è stato leggermente più semplice, perché una serie di provvedimenti ha permesso di utilizzare i marciapiedi della città e noi l’abbiamo immediatamente fatto. Abbiamo sfruttato l’area esterna antistante e il giardino nel backyard che era una giungla incolta. Abbiamo fatto noi stessi i lavori rendendolo un luogo molto apprezzato per la sua tranquillità e bellezza.”

Avete ricevuto aiuti dal governo americano?
“Non abbiamo avuto un dollaro dal governo perché non abbiamo i requisiti richiesti. Questo ha portato molte persone a farci delle donazioni come parte della comunità e che ci hanno davvero toccato il cuore. Alcune persone ci hanno detto di avergli salvato la vita perché nel periodo peggiore noi siamo rimasti in prima linea e cucinato per loro. Questo chi ha dato una soddisfazione enorme e una carica ulteriore nell’affrontare questo periodo pazzesco. Di contro anche noi abbiamo donato per un grande ospedale alcuni pasti, nell’operazione Stronger Together, per chi è stato in prima fila a combattere il visus”.

Cremini Bistro NY

Quali sono i vostri progetti o sogni per il futuro?
“Tanti. Alcuni li teniamo ancora “secretati” ma vogliamo rendere possibile una certa popolarità del nostro cibo unita alla qualità che ci contraddistingue. È una sfida più grande di quello che sembra e sarà molto impegnativo”.

Aprirete altri locali o svilupperete nuove sinergie?
“In questo momento ci sono molte opportunità, ma bisogna essere cauti. Abbiamo iniziato una piccola collaborazione con Tramezzini NYC che propongono l’autentico tramezzino veneziano in città e stanno lavorando molto bene. Hanno inventato una Party Box totalmente personalizzabile che ti arriva direttamente a casa dove sono previste anche le nostre Olive Ascolane. Il progetto ha avuto riscontro anche sul New York Times e sta andando bene”.

CREMINI’S – Aperitivo&Kitchen
521 Court St, Brooklyn, NY 11231
Stati Uniti

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