«A otto anni mi piaceva perdermi nei dettagli della natura e per questo chiesti ai miei genitori di regalarmi un microscopio» esordisce Bruna Corradetti. Dal piccolo comune di Castignano (AP), diventa una scienziata di fama internazionale. «Non sognavo di diventare una scienziata, forse non sapevo nemmeno cosa significasse essere uno scienziato. Tantomeno ero consapevole della dimensione internazionale di questa professione. Volevo diventare una dottoressa. Nessuna frase è mai stata tanto evocativa considerando che riflette esattamente il mio titolo di studio. Dottore(ssa) di ricerca in Scienza Biomolecolari. Ci sono arrivata attraverso un diploma classico, triennale in Biologia e specialistica in Scienze Biomolecolari. Un percorso tutto marchigiano, intervallato da varie esperienze di vita e studio tra gli istituti di ricerca più prestigiosi d’Europa e del mondo. Tra questi il Scottish Center for Regenerative Medicine nel Regno Unito, noto per aver dato i natali alla Pecora Dolly, il Centro de Investigaciòn del Cancer a Salamanca, ETH Zurich in Svizzera e lo Houston Methodist Hospital in Texas tanto per citarne alcuni».
«Ho scoperto il mondo della ricerca interfacciandomi con culture e ambienti completamente differenti» ci svela Bruna. «Diversi modi di fare e di raccontarla la scienza. Vivere la scienza nella sua dimensione internazionale mi ha insegnato molto, mi ha consentito di scoprire i miei talenti e affinare le mie abilità, nella vita professionale come in quella interpersonale».
«Da studentessa ho scoperto di sentirmi completamente a mio agio all’idea di trasferirmi in un altro stato, di apprendere una nuova lingua, espormi, mettermi in gioco. E cosi, dopo la prima esperienza Erasmus a Granada, ho deciso di tentare tutte le strade possibili. Salamanca, Irlanda del Nord sono le destinazioni che ho visitato prima della laurea. Dopodichè il buio. Non sapevo davvero cosa fare. Capita quando si spengono i riflettori della vita pianificata che si vive sotto tesi, per quanto sia complessa. Ci sentiamo onnipotenti e poi? E poi arriva il lavoro vero. La ricerca del lavoro. Ricordo che a quel punto avevo capito che la scienza era la mia passione, che volevo proseguire. Ma come? Ricevevo informazioni confuse e presi al volo la proposta di una collaborazione con un gruppo di veterinari dell’Università degli Studi di Milano. Avevano da poco avviato un progetto per lo studio delle cellule staminali dalle membrane amniotiche per il trattamento delle lesioni tendinee dei cavalli da corsa ma non avevano le competenze richieste per svolgere le analisi molecolari. Io le avevo e mi proposi. In cambio, volevo che mi insegnassero a fare fecondazione in vitro. Ero disposta a barattare le mie competenze per migliorare le mie conoscenze. La mia intraprendenza mi portò a ottenere una borsa di studio di qualche mese e subito dopo una borsa di dottorato per proseguire nello studio delle cellule staminali tra UNIVPM e la clinica dei grandi animali di Lodi. È stato un periodo di lavoro intenso e grandi soddisfazioni, circondata da persone competenti e determinate che amavano la ricerca».
«Da quel momento opportunità ed esperienze si sono susseguite a costruire quella che oggi racconto come la storia delle mie infinite vite. Una storia di scienza comune a molte persone che hanno deciso di intraprendere questa strada. La capacità di aprirsi al nuovo, all’incertezza è la caratteristica più importante per uno scienziato».

Le abbiamo chiesto anche su quale fronte di ricerca stai lavorando attualmente. «Il mio gruppo di ricerca al Baylor College of Medicine (a Houston) si occupa di sviluppare terapie intelligenti per la medicina rigenerativa. Studiamo il comportamento delle cellule staminali in condizioni fisiologiche e patologiche per comprendere i meccanismi che utilizzano per comunicare con le cellule circostanti, in molti casi riducendo l’infiammazione determinata da un danno o da una malattia e inducendo rigenerazione. Da qualche tempo sappiamo che per comunicare, le cellule staminali si scambiano particelle nanoscopiche ricche di informazione. Simili ai vaccini che sono stati sviluppati per proteggerci dal COVID-19. Il nostro corpo produce particelle simili che cambiano nella composizione. Noi stiamo decodificando quei messaggi per capire quali sono le parole utili a ripristinare un meccanismo terapeutico».
«Un altro progetto riguarda lo sviluppo di cerotti biomimetici per il riparo delle ferite croniche, quelle dei pazienti diabetici. È un progetto che mi è stato finanziato dal Dipartimento della Difesa Americano e che sto portando avanti in collaborazione con un’altra scienziata italiana (e amica), Francesca Taraballi. Ne siamo molto fiere».
Diversi sono stati i riconoscimenti ricevuti finora. «A partire dalla nomina tra le “100 Eccellenze Italiane” nel 2017. Fu una grande emozione entrare nella Sala delle Donne a Montecitorio, dedicata alle prime donne che hanno ricoperto cariche politiche. L’idea di trovarmi in un ambiente in cui veniva riconosciuto il valore di donne forti che avevano creduto nei loro ideali mi commuoveva e allo stesso tempo mi dava molta forza. Nel 2019 sono stata insignita del premio BPW-CUP per la categoria leader, per il mio impegno a supportare le nuove generazioni di donne nelle discipline STEM. Un riconoscimento anche questo di grande valore per me perché si sposa con il mio impegno a creare una scienza sostenibile per i giovani. E il primo che sono riuscita a festeggiare con i miei genitori».
Questa estate è stata insignita del premio Orgoglio marchigiano. «Ne sono stata molto felice. Ci tengo molto a ringraziare chi mi ha nominato, il sindaco di Francavilla D’Ete e la Regione Marche».

«Come ho detto in una precedente intervista vedo riflesse sulla superficie della statuetta del Guerriero Marchigiano le battaglie che ho perso, quelle che ho vinto e quelle che mi resta da combattere. Mi sento una guerriera per il mondo con cui affronto la vita. Cado spesso ma sono capace di rialzarmi. Non perdo mai la speranza. Ricevere questo premio rappresenta uno stimolo a fare di più e a fare meglio, a nome di una regione alla quale devo due delle caratteristiche di cui vado più fiera, la tenacia e la resilienza».
Per Bruna non c’è scienza senza resilienza. «Nel mio TEDx ho deciso di parlare della mia esperienza nella scienza, anziché delle mie ricerche».
«Ho descritto la scienza come un mare in tempesta, difficile da navigare. Eppure, nessuno ne parla. O almeno, nessuno ci insegna come va navigato. Nessuno ci dice che quei momenti bui di black-out li ha vissuti anche chi viene insignito del premio “Orgoglio Marchigiano”. E io ho deciso di farlo. Ho raccontato dei miei momenti bui, quelli in cui le voci intorno a me non facevano che ripetermi che ero troppo giovane, che potevo aspettare, che non avevo i numeri. Parlo di quando, qualche anno fa, ho deciso di abbandonare la mia passione e dedicarmi a qualcosa di più “normale”. In quel momento, ci fu un intervento esterno. Il mio supervisor ai tempi del dottorato trovò per caso una mia foto sul sito della società internazionale più famosa al mondo. L’avevano utilizzata come esempio di una scienza giovane. Ero io, che parlavo di scienza. Me la mandò con una nota “questo è quello che sei quando fai ciò che più ti appassiona”. Gli occhi di quella foto mi fecero cambiare idea riportandomi al mio sogno. La luce dei miei occhi in quella foto è il motivo per cui mi batto per rendere la scienza più umana. Perché a forza di raccontarla attraverso storie di successo, la allontaniamo dalla verità».
Sogna la scienza del domani come giovane e umana. «La scienza comporta sacrificio, richiede fallimenti, lontananza dagli affetti, notti insonni e un cervello in funzione 24/7. È a tratti estenuante e se ai giovani non diciamo che ce la possono fare, che le loro idee impreziosiscono il sistema, che abbiamo fiducia nel loro lavoro, che c’è speranza per il domani e che siamo qui per aiutarli in questo cammino tortuoso, rischiamo di perderli lungo il tragitto. Non ce lo possiamo permettere. Ce ne sono già troppi in giro per il mondo che si sono ripromessi di non tornare mai più in patria ma che si augurano che le nuove generazioni non debbano affrontare le ambiguità, le difficoltà, i ritardi burocratici che hanno vissuto loro. Ho avviato un percorso di mentorship con i giovani italiani che mi danno fiducia per uscire dall’impasse in cui molti di loro si trovano. Sono bloccati, non conoscono bene le opportunità che hanno, il percorso. Li vedo persi. Ma lasciano i nostri incontri con la luce negli occhi. Sto strutturando un programma da sottoporre all’attenzione delle istituzioni e anzi, mi rivolgo a quelle marchigiane, perché questa battaglia non posso vincerla da sola».
«A giugno sono tornata al mio paese, Castignano, e mi è venuto in mente di organizzare un piccolo evento per parlare ai giovani che come me sono cresciuti in una piccola realtà. Volevo raccontare la mia esperienza e raccogliere le loro. I loro sogni, le loro aspirazioni. Hanno partecipato anche molti genitori e questo mi ha rincuorato perché dalle testimonianze che ricevo mi sono accorta che i blocchi spesso derivano proprio dalle famiglie, dall’idea che se sei cresciuto in una piccola realtà non hai molte opportunità. La mia intenzione era quella di trasmettere apertura, il concetto che tutto è possibile e che, forse, il lavoro dei tuoi sogni non esiste ancora e sta a te inventarlo! Da quel piccolissimo e brevissimo evento ho raccolto soddisfazioni enormi. Molti, tra ragazzi e ragazze, mi hanno contattato dicendomi che avevano ripreso in mano le loro passioni. Danza, scrittura, etc.. Per me non c’è cosa più bella che la luce negli occhi di un giovane che fa quello che ama con entusiasmo. Solo grandi cose possono derivare da una passione. Se posso approfitto per lanciare un messaggio alle amministrazioni dei comuni marchigiani, mi piacerebbe proseguire con questo percorso, diffondendo un evento semplice ma cosi potente tra le realtà marchigiane che mi stanno tanto a cuore. Contattatemi!»
BRUNA CORRADETTI
bruna.corradetti@gmail.com